Allenarsi al freddo? Come si adatta l’organismo
L’inverno è scomodo. Maglioni che gonfiano le valigie, cappotti che ingombrano, guanti che si separano e cappelli che si seminano per strada. Little White che non vuole infilare le scarpe e alla prima occasione cerca di liberarsene. Eppure il freddo mi affascina. Ancora di più come l’organismo si adatta alle temperature -tropicali o rigide- durante la prestazione sportiva cattura da sempre la mia attenzione.
L’adattamento è il primo meccanismo che il corpo mette in atto per adeguarsi agli stress. Gli stressor sono quindi quei fattori che stimolano nell’organismo un cambiamento. E’ il primo principio dell’allenamento. Ed è il meccanismo vitale che ha permesso all’uomo di sopravvivere dall’era primitiva ai giorni nostri. Una capacità che diviene di maggior importanza quando a fare da stressor sono le condizioni ambientali. Caldo. Umidità. Vento. E freddo, quello vero.
In questo caso il meccanismo utile a regolare la temperatura corporea si chiama termoregolazione. Qualcosa che all’apparenza può sembrare facile, normale, scontato ma che così non è.
Il freddo non è uguale per tutti
Quando si tratta di tolleranza al freddo, ognuno è diverso. La ricerca scientifica, infatti, mostra che gli esseri umani variano la loro capacità di adattarsi al freddo. L’acclimatazione gioca senza dubbio un ruolo importante: proprio come è possibile acclimatarsi al caldo così è possibile al freddo. Tuttavia ci sono differenze fisiologiche tra gli individui. Una prima importante diversità è legata al genere: la maggior parte delle donne ha livelli più elevati di massa grassa rispetto agli uomini. E’ evidente che questo strato di tessuto adiposo sottocutaneo spesso produce un maggior isolamento tissutale che si traduce in una temperatura critica inferiore. Tuttavia le donne perdono la guerra col freddo. Le donne, infatti, hanno generalmente una superficie maggiore rispetto agli uomini e una massa corporea inferiore. Supponendo pari abbigliamento indossato, la perdita di calore totale nelle donne è maggiore proprio per via della maggior superficie corporea attraverso la quale può verificarsi una perdita di calore. In aggiunta, a causa della massa corporea ridotta, il contenuto di calore corporeo è inferiore nelle donne. Questo significa che la temperatura corporea si riduce più rapidamente per ogni dato gradiente termico e tasso metabolico. Questo evento forse spiega il cliché per cui molte donne tendono ad alzare il riscaldamento dell’ambiente rispetto agli uomini.
Come l’organismo si adatta al freddo
Essendo l’uomo un mammifero a sangue caldo, il corpo umano si sforza di mantenere una temperatura interna costante di 36,4° C. Circa, ovviamente. Ma dal momento che l’essere umano si è evoluto in un ambiente in cui la temperatura ambientale variava in maniera drammatica, ha sviluppato anche la capacità di adattarsi a temperature rigide ed estremamente calde. Quando la temperatura si riduce, si attivano due meccanismi in risposta a tale variazione che contribuiscono al mantenimento di una temperatura interiore ottimale:
- La vasocostrizione
- La generazione di calore metabolico: il brivido
La vasocostrizione
La vasocostrizione periferica è un’importante risposta fisiologica dell’uomo esposto al freddo. Il flusso sanguigno diminuisce quando la temperatura del fluido in cui è immerso, acqua o aria, diventa più fredda. Durante l’esposizione al freddo corporeo, la risposta vasocostrittrice non è limitata alle mani e ai piedi, ma è diffusa in tutto il guscio periferico. La diminuzione del flusso sanguigno periferico riduce il trasferimento di calore convettivo tra il nucleo del corpo e il guscio (pelle, grasso sottocutaneo e muscolo scheletrico) e aumenta l’isolamento. Il calore viene perso dalla superficie corporea più velocemente di quanto sia stato sostituito. Di conseguenza, l’esposizione al freddo su tutto il corpo causa il declino della temperatura della pelle su tutta la superficie corporea. L’isolamento inizia ad aumentare quando la temperatura della pelle scende al di sotto di circa 35 ° C. e diventa massima quando la temperatura della pelle è di circa 31 ° C o meno. Le mani e le dita sono particolarmente sensibili al freddo e alla perdita della destrezza manuale dovuta alla vasocostrizione indotta dal freddo . In queste aree del corpo, un’altra risposta vasomotoria alla vasodilatazione fredda e indotta dal freddo, modula gli effetti della vasocostrizione.
La generazione di calore metabolico: il brivido
Oltre al meccanismo che limita la perdita di calore, appena descritto, gli esseri umani possiedono ulteriori strategie per difendere la temperatura corporea. La produzione di calore metabolico può aumentare per sostituire il calore perso durante l’esposizione a freddo. Il muscolo è generalmente considerato la fonte della maggiore produzione di calore metabolico. Oltre a generare forza esterna, le contrazioni muscolari portano anche alla liberazione di un considerevole calore (circa il 70% dell’energia totale spesa). Pertanto, l’attività fisica volontaria durante il lavoro o l’esercizio fisico aumenta la produzione di calore metabolico. In assenza di un aumento dell’attività muscolare volontaria, inizia il brivido. Il brivido è un modello involontario di contrazioni muscolari ripetitive e ritmiche. Lo scienziato Horvath (1981) si riferiva al brivido come a uno stato di “quasi esercizio”, dato che i muscoli si contraggono ma non svolgono alcun lavoro esterno. Si parla di contrazione isometrica. I brividi possono cominciare immediatamente o entro alcuni minuti dopo l’inizio dell’esposizione al freddo, di solito nei muscoli del tronco, seguiti dalle labbra.
Nello specifico, l’aumento del Vo2 associata all’insorgenza di brividi nel freddo richiede un maggiore trasporto sistemico di ossigeno. Con l’esposizione al freddo aumenta anche la gittata cardiaca. Con l’aumentare dell’intensità del brivido e con l’aumento dell’attività dei muscoli, aumenta ulteriormente il Vo2.
Ciò che mi affascina, infine, è il substrato energetico che l’organismo utilizza per nutrire i brividi. Quando i brividi sono medi, circa la metà dell’energia necessaria al brivido può essere ricavata dal grasso (lipidi). Se vi è abbondanza di carboidrati disponibile sotto forma di glicogeno muscolare, più di questo può essere usato per l’energia dei brividi. Tuttavia, durante l’esposizione al freddo estremo quando i brividi sono intensi, il corpo umano non ha altra scelta che procurarsi questa energia dai carboidrati muscolari (glicogeno).
In pratica la produzione dei brividi potrebbe essere definita come una vera e propria disciplina sportiva con un costo energetico non indifferente.
La bella notizia è che anche in questo caso la nutrizione diviene una vera e propria strategia d adottare anche in caso di attività fisica in condizioni ambientali fredde. Ma di tali strategie ne parleremo nel prossimo articolo di Sporteat.
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