Cronache di una Granfondo
Tremilaquattrocento biciclette son tante.
Il colpo d’occhio è sempre emozionante. Ancora di più se incorniciato da un mar ligure silente e solare di febbraio.
Entro in griglia.
Faccio il punto della situazione. Gli energetici ci sono. La barretta nel taschino di destra già mezza scartata pronta ad un facile consumo. In quello di sinistra un gel e un cheer-pack col tappino già svitato. Aperto e richiuso. Un integratore in più, di scorta, non si sa mai.
La borraccia con acqua e sali minerali da 750 ml è ben incastrata nel portaborraccia. Una buca, un dosso e potrebbe saltarmia via e non solo mi ritroverei senza riserva idrica ma potrebbe mettere in pericolo qualche altro ciclista. Meglio assicurarla.
Il dorsale è ben attaccato con le spille da balia.
Il rapporto è quello giusto per partire.
Il casco è in testa ben allacciato.
Bene. Sono pronta.
Mancano 30 minuti al “via”. Prendo dal taschino centrale una di quelle gelatine a base di fruttosio e isomaltulosio in grado di darmi energia a lento rilascio nella prima ora dopo la partenza.
Guardo intorno a me e…mi accorgo con gran sorpresa di non esser l’unica. Niente più panini con la marmellata, niente più banane. Solo energetici a base di carboidrati a basso indice glicemico ovvero di zuccheri che, pur giungendo rapidamente dalla bocca all’intestino, passano nel sangue lentamente. Il vantaggio è che l’energia viene rilasciata in modo graduale, permettendo una disponibilità prolungata nel tempo.
I ciclisti sono all’avanguardia. Si sono aggiornati sull’alimentazione e l’integrazione nel giorno della gara. Chapeau.
3..2..1..GO!
La partenza è sempre un momento carico di energia e di emozioni. E anche un pò pericoloso.
I treni passano e fatico a trovare quello giusto in cui ripararmi e agganciare la scia.
Ma chilometro dopo chilometro siamo già alla prima salita. E tiro il fiato.
Paradossale, vero? Sono un’amante della salita. Una fifona della discesa. E un’inesperta in pianura.
Calcolando che ci son tante discese quante salite…devo imparare anche a scendere. E’ chiaro.
I chilometri scorrono. Passo il primo tappeto con rilevamento cronometrico. Passo il primo rifornimento. Vado via dritta.
I tratti in pianura controvento sono la mia croce. E fatico a trovare un gruppetto a cui rubare la ruota. Spesso sola.
Per ingannare il tempo e non annoiarmi, lancio uno sguardo ai paesaggi. E sgranocchio una barretta.
Ma a circa 80 km sono le gambe ad ingannare me.
La strategia di integrazione è quella giusta. L’energia c’è, lo sento.
Anche se la borraccia è quasi vuota.
Scarto un gel nella penultima salita e penso al prossimo rifornimento. Per un refill di acqua.
Sono a 90 km. Ne mancano 20 all’arrivo. Mi rendo conto che qualcosa sta smettendo di funzionare.
Allontano il pensiero. Stringo i denti. Aumento la concentrazione. Dopo tutto manca poco. Una discesa e l’ultimo tratto in pianura.
Finisce la discesa. Trovo un gruppetto a cui agganciarmi. E la spia si accende nuovamente.
C’è qualcosa che non funziona. Le mie gambe.
Curva secca a sinistra. Finisce la pianura. “Sorpresaaaaa!”. E’ salita. Inizialmente penso sia un falso piano. Ma che poi smette di esser falso e ancor meno piano. E’ salita vera. Arrivo in salita. Non ci credo.
Le gambe sono di gomma. La forza fisica è finita. Cerco di andare d’inerzia e sfoderare la forza mentale. Sono i due chilometri più lunghi che abbia mai pedalato. Ma l’indomani avrò dimenticato tutto. La fatica fisica si scorda facilmente.
E’ crisi. Ma non energetica.
E’ chiaro che allenandomi non oltre 80 km ad uscita, una durata maggiore la pago. Non sono preparata.
Predico bene e razzolo male. La strategia d’integrazione è perfetta. Ma ho sottovalutato l’allenamento.
E come sostengo sempre, alimentazione e allenamento sono componenti della prestazione inscindibili. Nessuno può sostituirsi all’altro.
E’ bene che lo ricordi anch’io.
Non mi rimane ora che un affidarmi ad un efficace recupero nutrizionale e abbandonarmi ad sonno rigenerante.
Foto: Getty Images
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