Gentilissimo Professore, a Lei
Gentilissimo Professore,
così iniziavano le nostre e-mail.
Il suo amico Giacomo sorrideva divertito, perché non si spiegava come nonostante la nostra profonda confidenza ci fosse quel “Lei”. Perché il Lei alle volte allontana, mette ciascuno al suo posto. Dà autorevolezza, distanza. Eppure, al contrario, nel nostro caso univa. Ci abbiamo provato a darci del “tu”. E lei rideva. Rideva ancora più di Giacomo. Col suo sorriso sinceramente divertito che Le illuminava il viso e gli occhi. O forse prima gli occhi e poi il viso. E faceva ridere anche me. Un Professore che ride così tanto non si era mai visto. I professori in genere sono seri, severi, oscuri in viso. Lei, invece, era così luminoso e sereno, sì sereno, sereno della vita, che mi faceva ridere anche via email. Con una maniera buffa. Tutta sua.
E’ da un anno ormai che non ce ne scriviamo più. E’ da un anno ormai che ci siamo salutati. Eppure mi sembra di averla sentita 5 minuti fa. E’ quotidianamente il mio interlocutore interno. La mia voce interiore. Che mia aiuta nelle riflessioni. Quelle scientifiche e quelle di vita quotidiana, nelle scelte di vita. Davanti ad ogni scelta, pensiero, illuminazione mi chiedo quale consiglio mi avrebbe dato, Lei. Ne avremmo parlato per diverse ore, come se il tempo avesse perso la sua forma e il suo ritmo incalzante. Davanti alla macchinetta del caffè. Perché quello era lo zuccherino delle nostre chiacchierate. Ricordo che le piaceva caldo, forte e lungo. Allora quando sapevo che sarebbe arrivato accendevo poco prima la macchinetta così che si scaldasse bene.
E mi faceva ridere perché quando a volte capitava che l’orologio mi si incollasse alla pelle del polso, io lo scrollavo, e mi domandava dispiaciuto “Signorina, deve andare?” come i giovani alla fine delle feste. E invece no. Era solo quel maledetto orologio dalla circonferenza da bambina che si appiccicava. E volevo che quel tempo per noi non finisse mai. Sarei andata avanti all’infinito a parlare del mito della supercompensazione, di potenza lipidica, di nitrati e mitocondri, ad aggiornarla sulle nostre donne olimpiche del canottaggio, sui risultati di mio fratello.
A proposito, lo sa che i nostri marciatori hanno vinto la Coppa del Mondo a squadre a Roma? Hanno marciato tutti insieme sulla 50. Era bellissimo seguirli alla tele ripensando al lavoro nutrizionale fatto e ai vantaggi evidenti ottenuti.
Ma Lei, lo so, Lei li ha seguiti col cuore, da una tribuna d’onore lassu.
Da dove seguirà anche queste Olimpiadi.
E ci vedremo alla macchinetta del caffè, a settembre, per poter parlare e discutere dei record e di nuove riflessioni di allenamento abbinati alla nutrizione. Scriveremo tabelle e disegneremo grafici. Anzi i grafici li disegnerà Lei, con quel suo tratto fine, lento ma sicuro sulla carta. E io starò a guardare e con Lei a ragionare.
E di nuovo via, insieme, ripartirà il nostro scambio di email.
Perché quello che ci piaceva più di tutto era osservare. Osservare, riflettere, indagare,ricercare, confrontarci. E scrivere. Scrivere i nostri articoli propositivi, costruttivi, mai polemici. Sempre nuovi punti di vista. Su cui riflettere e ripartire.
Sorriderò al cielo, e Lei mi risponderà con suo ghigno divertito, quando nella maratona si scenderà sotto le due ore controllando il nostro pronostico.
E allora l’aspetterò nuovamente alla macchinetta del caffè. Coi mille grafici su cui ragionare. Mentre il caffè si raffredderà nuovamente.
Per il momento, so che per ritrovarla non dovrò aprire più aprire la casella della posta, quella elettronica, ma solo la mia mente, il mio cuore. E accendere un sorriso. O scartare ingolosita un cioccolatino.
So che la ritroverò lì, Gentilissimo Professore -che porta il nome di mio papà- nei miei pensieri, nelle mie elucubrazioni, dentro ai suoi libri, nei suoi insegnamenti che sono diventati parte di vita quotidiana per me. Nei ricordi. Che come gli scafi delle barche scivolano delicatamente sul pelo dell’acqua ma senza abbandonarla mai.
La saluto.
Gentilissima Signorina
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