La caffeina e i suoi geni

Posted by Elena Casiraghi 24 Aprile 2018 0 Comment 6710 views

Adoro il caffè. Per il suo aroma avvolgente, deciso e al tempo stesso dolce con cui mi sa accogliere in ogni momento della giornata e in ogni angolo del mondo. Lo adoro, poi, per il suo principio attivo, così longevo e insuperabile: la caffeina. Sono affascinata per i suoi effetti sull’organismo e sulla prestazione atletica. Sulla caffeina, non a caso, sono stati scritti numerosi libri. Non ultimo, tra i miei preferiti poiché completi e recenti, quello di Louise Burke, a mio avviso la più significativa ricercatrice a livello mondiale in ambito di nutrizione sportiva, dal titolo trasparente, fedele e schietto “Caffeine and Sport Performance”.

Altrettanto numerosi sono gli studi scientifici creati per testare i vantaggi della caffeina sull’organismo umano. C’è un però. L’errore di questi studi, però (ecco il “però”), è sempre stato quello di occuparsi dei nutrienti esclusivamente analizzando il loro potere dal punto di vista biochimico osservando –solo a volte- il loro effetto sulle prestazioni sportive. Ci si occupa raramente, invece, di analizzare l’impatto di questi nutrienti sul metabolismo umano e quindi sulla risposta dell’organismo stesso, prima che sulla prestazione. Per questo, da qualche anno, alcuni ricercatori hanno iniziato a esaminare più da vicino la variabilità individuale di alcune sostanze, tra cui la risposta alla caffeina. Prendendo quindi in considerazione questo aspetto si può osservare ad esempio che se il miglioramento medio delle prestazioni sportive con l’assunzione di caffeina è del 3%, alcune persone potrebbero effettivamente ottenere un miglioramento del 6%, mentre altre non migliorare affatto. Tutto dipende dal profilo genetico. C’è infatti una variabilità nella risposta all’assunzione di caffeina. Per dirla più semplicemente: non tutti reagiamo nella stessa maniera all’assunzione di caffeina a parità di esperienza e quantità assunta.

Lo studio più significativo ad oggi pubblicato è apparso sulla rivista scientifica Medicine & Science in Sports & Exercise. E i risultati sono sorprendenti.

Lo studio è stato condotto da Nanci Guest, un dietista sportivo e dottorando dell’Università di Toronto, e dal suo supervisore Ahmed El-Sohemy, professore di scienze nutrizionali. Per lo studio sono stati coinvolti 101 atleti uomini ben allenati in una varietà di sport (dalla maratona al pugilato al calcio). Sono stati sottoposti ad una serie di tre prove a tempo sui 10 km di corsa. Prima della prova ogni gruppo di atleti ha ricevuto un placebo, una bassa dose di caffeina (2 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo) o una dose più alta (4 mg/kg).

Come previsto, la caffeina ha aumentato le prestazioni. Gli atleti hanno pedalato il 3% più velocemente con l’alta dose di caffeina rispetto al placebo. Ed il miglioramento con la dose più bassa non era statisticamente significativo.

Ed è proprio qui che terminano questi studi: la caffeina funziona per migliorare le prestazioni atletiche. Punto.

In questo caso, però, i ricercatori hanno anche fatto un test salivare per determinare quale versione di un gene chiamato CYP1A2 avesse ciascun soggetto. Più del 95% della caffeina che si assume, infatti, viene metabolizzato da un enzima codificato da questo gene. Le persone con la versione AA del gene sono considerati metabolizzatori “veloci”, smaltiscono cioè la caffeina in poco tempo. Le persone con la versione AC o CC sono invece definiti metabolizzatori “lenti”, il che significa che la caffeina che bevono permane nel loro organismo per molto più tempo.

Nel gruppo AA (i metabolizzatori veloci), la caffeina si è dimostrata efficace nel migliorare la prestazione in maniera proporzionale alla quantità: se poco è bene, di più è meglio. Per intenderci. La performance, infatti, incrementava del 4,8% più velocemente con la bassa dose di caffeina e del 6,8% più velocemente con la dose elevata di caffeina. Nel gruppo CC (i metabolizzatori molto lenti), il modello è l’opposto: più caffeina assumevano, più lento era il loro incremento. Alla dose più alta, sono il 13,7% più lenti. Nel gruppo centrale cioè del genotipo CA, sembra esserci addirittura un effetto placebo, senza alcuna differenza significativa in entrambi i casi.

E’ naturale che da questi risultati scaturiscano numerose domande. Prima di tutto, perché questa enorme differenza? Una concreta risposta ancora non esiste. La spiegazione probabile è che la caffeina ha un mix di effetti positivi e negativi in ​​ogni individuo. Gli effetti positivi sono probabilmente nel cervello, favorendo una riduzione della percezione dello sforzo. Gli effetti negativi potrebbero paradossalmente essere il risultato di un restringimento dei vasi sanguigni in risposta alla caffeina che comprometterebbe il flusso sanguigno ai muscoli durante l’esercizio. Ognuno riceve l’impulso positivo quando ingerisce la caffeina, ma forse gli effetti negativi restano molto più a lungo nei metabolizzatori lenti e in definitiva superano i benefici.

Ciò solleva la questione di come i risultati potrebbero cambiare in un evento che dura, diciamo, 1 minuto o, al contrario, diverse ore. Possiamo solo essere sicuri che il particolare equilibrio degli effetti positivi e negativi qui visti si applica per una prestazione della durata media di 18 minuti. E’ il caso delle competizioni di canottaggio, delle gare prolungate di nuoto in piscina come i 1500 m s.l.

Un ulteriore aspetto interessante è che gli effetti del metabolismo della caffeina non si limitano alla prestazione atletica. In precedenti lavori, El-Sohemy ei suoi colleghi hanno dimostrato che i metabolizzatori veloci hanno un rischio minore di infarto se bevono da 1 a 3 tazze di caffè al giorno, forse grazie ai suoi polifenoli e altri elementi che promuovono la salute. Al contrario, i metabolizzatori lenti hanno un aumento del 36% del rischio di attacco cardiaco se bevono da 2 a 3 tazze di caffè al giorno e un aumento del 64% se bevono quattro tazze o più.

È anche importante notare che i soggetti di questo studio erano tutti maschi. In teoria, afferma El-Sohemy, si aspetterebbero di vedere risultati simili in atleti di sesso femminile, e i ricercatori sperano di estendere i risultati alle donne in un futuro studio. Ci sono alcune prove che i contraccettivi ormonali possono influenzare l’attività dell’enzima del metabolismo della caffeina, il che solleva la possibilità che possano esserci alcuni effetti sottili legati al ciclo ormonale femminile. L’attuale studio ha richiesto a tutti i soggetti di astenersi dalla caffeina durante la giornata per 4 settimane durante la sperimentazione. Per studiare correttamente l’eventuale differenza di metabolizzazione della caffeina nei due sessi le donne dovrebbero presentarsi in laboratorio alla stessa ora ogni mese per garantire livelli ormonali simili, che richiederebbero quattro mesi di astensione completa da caffeina.

Sarei curiosa di conoscere l’effetto della caffeina nell’organismo di sesso femminile e soprattutto di conoscere quale sia il mio profilo genetico nella metabolizzazione della caffeina. E quindi senza dubbio comunico agli autori dello studio che sono prontamente disponibile. Ma che, indipendentemente dal risultato, una cosa è certa: di un buon caffè non ne potrei fare a meno!

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