La mia Maratona ha due ruote. E un’emozione
Ho visto tanti sorrisi. Ho visto tanta determinazione. Ho visto tante mogli -pazienti- scortare alla partenza i loro mariti. E ne ho viste anche altre arrabbiarsi con gli stessi. Quando la pazienza era esaurita.
Ho visto sui passi dolomitici tanti bimbi correr con le borracce piene in mano verso il loro papà con negli occhi il loro eroe. Come quello dei fumetti stampato sulle loro t-shirt. Perchè il loro papà è un eroe.
Ho visto un uomo pedalare in salita sul Campolongo con una gamba sola. E non per scelta.
E ne ho visto un altro scendere come un falco giù dal Pordoi. E di nuovo su per il Sella. Come se la pendenza e la fatica non gli facessero un baffo e le traiettorie fossero il suo pane. Come se, ovviamente.
Ho visto la neve frizzante del 30 di giugno. Appena scesa. Perchè forse voleva vivere un’emozione anche lei. O più semplicemente voleva poter dire “io c’ero”.
Ho sentito voci di incitazione. E ho ascoltato il rumore silente della concentrazione. Che sale come un serpentone sui dodici chilometri del Falzarego. Che anche le mosche stanno a guardare. Senza volare.
Ho sentito il suono che fa la stagnola quando scarti le barrette e i panini al latte col prosciutto e philadelphia. Ed hai fame. Una fame esagerata di energia. Che tutto ti sembra più buono.
Ho sentito qualcuno che il percorso lungo non voleva farlo. Perchè c’era il grande Giau. Che come il lupo nero ai bambini fa paura.
Ho sentito che c’era una donna in tandem col suo compagno. E avrei voluto tanto vederla.
Ho sentito qualcuno che faceva il mio nome. Ma quando poi mi sono girata non c’era più. Sarà stata mica la voce della fatica?!
Ho sentito il suono del sorriso di una ragazza che riceveva la mia borraccia e l’assistenza di un angelo col casco e le scarpette.
Ho sentito l’energia -e anche un pò la fatica- di chi, accompagnandoti con pazienza, ti spinge con l’entusiasmo su per gli ultimi due beffardi chilometri del Valparola. Quelli ti fregano sempre: ti avvicini alla porta, col pallone tra i piedi, con un dribbling scarti il Falzarego in difesa, avanzi, ma poi c’è lui, il Valparola che ti aspetta in porta. Prima di tirare il tuo goal decisivo. Che entra dritto e secco in rete, sicuro e veloce come la discesa che ti conduce a Corvara. All’arrivo.
Dove ti aspetta chi sa accoglierti con un sorriso. Di quelli pieni di gioia. E ha ancora negli occhi l’emozione di quello che potrebbe esser già un ricordo. Ma che il sentire delle gambe potrà far vivere ancora per qualche giorno. E allora non ci resterà che dormire. Per sognarlo. E anche un pò per recuperare.
Questa volta, te lo confesso, nessuna strategia. Solo testa. Cuore. E gambe.
Maratona dles Dolomites 2013. La mia Maratona (h)a due ruote. E un’emozione. Forte.
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